I miei racconti,  Speciali

NE PAS PAPILLONNER

05/04/2020

“Ne pas papillonner“ una bella espressione verbale che in italiano non trova appropriata traduzione. Elegante e delicata come l’immagine dell’insetto che richiama: una farfalla (in francese appunto papillon).

Il verbo papillonner descrive dunque l’atteggiamento proprio della farfalla che va “di fiore in fiore” senza mai fermarsi a lungo su uno in particolare. 

I francesi amano utilizzare l’espressione per descrivere un certo tipo di vita sentimentale calcato sul modello delle avventure amorose del Dom Juan di Molière, un amante che passa di amore a amore senza mai implicarsi totalmente in alcuno.

Juliette ricorre alla metafora per mettermi invece in guardia dal rischio di continuare a cambiare settore di interesse senza mai concentrarmi a lungo su uno solo e senza arrivare a concludere nulla. 

Durante questo periodo di quarantena dedico parecchio tempo alla scrittura, non senza però un certo senso di colpa. Mi ripeto infatti che dovrei dedicare parte delle mie giornate in maniera più produttiva, magari con dei corsi di formazione in social media marketing, contabilità, inglese avanzato…

«Il faut faire un choix».

Sono d’accordo Juliette che occorre scegliere, e sono anche consapevole che ogni scelta comporta una rinuncia. Per questo faccio così fatica.

«Pas forcement», mi risponde «Faire un choix signifie mettre chaque chose à sa place dans sa propre vie et aller jusqu’au bout. Maintenant tu t’es engagée dans le domaine du théâtre et de la littérature. Mais la vie est tellement longue que rien t’empeche de revenir au domaine scientifique un jour. Simplement on ne peut pas faire tout en même temps. Il ne faut pas papillonner. Il faut aller jusqu’au bout».

«Papillonner???»

«Tu vois le papillon? L’insecte? Il est toujours insatisfait, il va de fleur en fleur sans jamais s’arrêter».

Juliette ha ragione. Non posso continuare a passare di settore in settore senza portare a compimento nulla. Scelto un bocciolo, occorre curarlo fino alla sua maturazione e assaporarlo fino al suo appassire.

Ricordo che questo autunno in un gioco-esercizio sugli animali durante un corso incentrato sul corpo dell’attore, la professoressa ci aveva chiesto di elencare in ordine di preferenza tre animali. Io avevo scelto il gabbiano, il gatto, la farfalla. La chiave di lettura proposta in seguito consisteva nell’attribuire al primo animale la valenza “l’animale che vorrei essere”,  al secondo “come mi vedono gli altri”,  al terzo “l’essere che sono”.

Dunque, per quel che mi concerne: vorrei essere un gabbiamo, gli altri mi vedono come un gatto, in realtà sono una farfalla. 

Ma non voglio papillonner.  Non più.

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