I miei racconti

UN MÉTRO EN PLUS, UN CELLULARE IN MENO!

L’orologio della cucina segna le 1.15. Rientro à la maison con il solito zaino del lavoro e una sacca rossa recuperata al salon du vin di Champerret. All’interno due calici di vetro e il libro per bimbi Pourquoi je ne suis pas un griffon?

È da questo pomeriggio che non guardo l’ora. L’ultima volta è stata alle 17.41, quando ho tirato fuori dalla tasca della giacca il cellulare. Poi ricordo solo di essermi aggrappata alla sbarra di ferro del métro per non cadere, e di avere chiuso gli occhi per 30 ingenui secondi.

Quando li riapro una dame derriére moi mi domanda se sarei scesa alla fermata successiva. Le rispondo di no. La lascio dunque passare. Dietro di lei noto che un posto si è liberato e subito ne approfitto per sedermi. Tutto ciò che ora desidero è isolarmi dal rumore del mondo e ascoltare un po’ di musica classica. Ultimamente ascoltare dei brani d’orchestra mi aiuta molto, sia a rilassarmi, sia a ritrovarmi.

Apro lo zaino per sortire le auricolari e subito lo richiudo con attenzione (in métro occorre avere mille occhi e tenere gli affetti personali ben stretti!). Ripongo il sacco tra le gambe e metto la mano in tasca per prendere il cellulare. Ma questa volta la mano non afferra nulla.

Impossibile! Eppure sono sicurissima di averlo riposto lì! Tiro fuori tutto ciò che le mie dita incontrano nella poche: un guanto, le pass Navigo, un fazzoletto usato… ma nessuno spigolo che possa indicare la presenza di un portable. Frugo con cura anche nella tasca destra, benché convinta al 100% di averlo riposto nella poche sinistra. Appena un secondo di smarrimento prima che un’inquietante verità si imponga in un lampo di chiarezza.

Qualcuno deve aver approfittato di quei miei 30 secondi di cecità per allungare veloce la mano e afferrare con nonchalance il mio cellulare. Qualcuno dei passeggeri, qualcuno dei tanti volti che mi hanno circondato in quel effimero lasso di tempo. Qualcuno talmente vicino e dall’aria talmente insospettabile che nessun sentimento di méfiance mi era sopraggiunto. Ripenso allora a quella dame che mi ha chiesto di passare, all’uomo che era seduto accanto alla sbarra, ai passeggeri anonimi e indifferenti attorno a me. Eppure tra tutti loro qualcuno non era poi così indifferente alla mia persona. Al contrario. Qualcuno mi ha osservato con attenzione, ho seguito con l’occhio ogni mio gesto, ha atteso il momento giusto il cui avrei potuto abbassare la guardia. E in quei 30 secondi di cecità n’a bien profité

Ora, tanto per la cronaca, questo non è il primo cellulare che perdo a Parigi. A luglio per un atto di sbadataggine avevo lasciato il mio precedente portable nei bagni del supermercato Monoprix del centro commerciale Les Halles. In quella circostanza ebbi la grande chance di ritrovarlo il giorno dopo presso l’ufficio oggetti smarriti. A ottobre invece l’avevo dimenticato appoggiato su una poltrona della biblioteca pubblica del Centre Pompidou. Mai più ritrovato.

Il nuovo telefono non aveva dunque neppure 5 mesi di vita. 

Eccomi allora riaprire con movimenti frenetici lo zaino e, benché il pensiero sia offuscato dall’evidenza, appigliarmi a un’ultima speranza irrazionale: «forse ho riposto il cellulare nello zaino con un gesto istintivo e che non ricordo…». Ma più cerco, meno trovo. E cerco, e cerco, nonostante conosca già la verità, nonostante sappia con certezza che il cellulare non è più lì perché qualcuno me l’a piqué!

Mi guardo intorno. Lo sguardo in basso scruta il lurido pavimento, gli occhi verificano i due sedili dove sono seduta. Chissà, magari il portable è fuoriuscito dalla tasca nel mentre mi sedevo…. Mais rien. Nessun spigolo nero, nessun schermo lucido. Niente di niente. 

Mi rannicchio sul mio sedile, respiro per non urlare il fastidio che provo, per non imprecare contro quella mano sconosciuta e anonima che repentina ha violato il mio spazio. Contro quelle dita che proveranno (forse) a comporre le password per entrare nei miei profili social, contro quelle unghie che graffieranno lo schermo touch, contro quel palmo bianco o nero che ora avvolge il mio cellulare e che ora conserva 200 euro.

Sì, perché questo è stato il prezzo del telefono. Niente di più, se si considerano gli ultimi modelli reperibili sul mercato. Un banale Samsung nero dal talmente “misero” valore di 200 euro che quando lo ho acquistato, il venditore non ha potuto trattenersi dal dire: «sì, un cellulare dal valore medio-basso… performances medie,… nulla di speciale».

Nulla di speciale, eppure pur sempre un valore degno di essere rubato. Mi chiedo se la mano che me lo ha sottratto aveva en avance valutato se il tentativo ne valeva la pena, se il mio era un cellulare degno di nota, o se ci ha scommesso ad occhi chiusi. Gli stessi occhi che forse ora staranno curiosando tra le mie canzoni, le mie chat, le mie foto.

©Eleonora Filippi

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